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The House on the Hill (1949)

de Cesare Pavese

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374368,216 (3.55)4
A devastating novel set in wartime Italy from the great twentieth-century writer, in a new translation by Tim Parks June, 1943. Allied aircraft are bombing industrial Turin; Fascist Italy seems to be on its knees. Corrado, a teacher, is staying in relative safety in the hills above the city. He has no attachments and claims to be happy that way. But against his better judgement he is drawn into a circle of anti-fascists who congregate at a nearby tavern. As the authorities' net closes around his friends, Corrado must face a painful choice- emotional and political commitment, with all its dangers - or devastating retreat.… (mais)
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Although La Casa in Collina is a modern classic of Italian literature, I found the author's stand-in, the narrator Corrado, hard to stomach sometimes. The novel covers roughly 18 months in Corrado's life as the allies begin bombing Torino and he takes shelter at night in a house in the nearby hills. There he meets an old lover with a son who might be his. As the air raids continue and the Germans seize control, the noose slowly tightens around his former lover, Cate, and the habitués of the country inn called Fontane.

Even as the danger grows, Corrado is lost in his thoughts. Remembering how poorly he treated Cate, how he seems unable or unwilling to form a lasting emotional connection with anyone, Corrado is unable to make decisions or take action.

Cited as a classic of existential literature, La Casa in Collina is an anti-myth, just like Corrado is an anti-hero. Rather than portray the Resistance as heroic, with everyone joining in, the novel shows how many Italians just wanted to survive the war. Not everyone is a hero, even as the collapse of the Mussolini government sets off a civil war among Resistance groups and with the Nazi sympathizers.

Perhaps I'm too much of an American to enjoy the contemplative pace of this novel, although I must confess it grew on me as I finished it. ( )
  barlow304 | Sep 22, 2021 |
Se è vero che, come pare almeno in parte vero leggendo la vita dello scrittore, siamo di fronte a un romanzo autobiografico, Pavese aveva quantomeno dei grossi dubbi su se stesso, sul suo mondo e su come era andata sviluppandosi la propria esistenza: il protagonista Corrado è infatti non solo un uomo senza qualità, ma mette pure in mostra difetti tali che vien voglia di prenderlo a sberle quasi a ogni capitolo. Oltre a configurarsi come la rappresentazione dell’intellettuale intento a crogiolarsi nel proprio complesso di superiorità mentre se ne sta chiuso in una torre d’avorio, egli è anche un pusillanime eternamente indeciso che, non riuscendo neppure a riscattare il vile comportamento giovanile nei confronti del primo amore, figurarsi se può far altro che rimanere in pratica paralizzato nell’istante in cui la guerra richiede una presa di posizione tanto che, quando decide di agire, lo fa soltanto per fuggire. Nel ’43, egli insegna a Torino, ma vive riparato dai bombardamenti in collina a pensione nella villa di una zitella innamorata segretamente di lui e della di lei madre. Girovagando per i boschi, capita in un’osteria dove fa base un gruppo di giovani che comprende Cate, sua fiamma adolescenziale tenuta lontana perché non ritenuta all’altezza: la donna, che ha un figlio che si chiama come lui, e gli altri lo accettano, ma laddove, dopo il settembre, la situazione si aggrava, i loro percorsi si divideranno di nuovo. Stordito e irresoluto, Corrado viene salvato, assieme al ragazzo, dalla sua padrona di casa – anch’ella si dimostra alla fine più viva e responsabile di lui – prima che la paura lo spinga ancora una volta a scappare, questa volta in direzione del più sicuro paese natio. L’accurata descrizione degli stati d’animo della figura principale è accompagnata dall’altrettanto preciso disegno delle figure di contorno, fra le quali spiccano i vitali frequentatori della locanda, le donne sconfitte dalla vita (a ben guardare sia Cate sia Elvira lo sono), gli anziani che guardano parlando poco e soffrendo molto, i sommersi e i salvati - più i voltagabbana - che cercano di adattarsi ai nuovi padroni (i colleghi Lucini e Castelli). Di pari rilievo, come sempre in Pavese, è però l’importanza della natura, in mezzo alla quale Corrado riesce forse a provare una compiuta felicità: il paesaggio collinare è dipinto con mano felice nello scorrere delle stagioni, fra alberi frondosi, sterpaglie, radure a prato illuminate dal sole, strade e sentieri che in un momento sono innocui e un attimo dopo nascondono insidiosi pericoli, basta che cambi l’atteggiamento degli uomini che li frequentano. Un pessimismo diffuso sull’essere umano che è presente finanche nell’incontro con la lotta partigiana: in ogni caso, Corrado pensa bene di svicolare e non è sufficiente come scusa il colloquio con Giorni, salito in montagna malgrado i trascorsi da fervente fascista. Il tutto raccontato con la consueta, mirabile lingua che lo scrittore piemontese porta qui a livelli davvero alti: un modo di raccontare solo all’apparenza semplice, ravvivato dagli accenti dialettali e segnato da una cadenza che, rendendolo subito riconoscibile, dà l’impressione al lettore di sprofondare in un caldo abbraccio. In fondo all’edizione in mio possesso, una vecchia Einaudi per la scuola media) vi sono alcuni racconti che non molto si discostano come tematiche e scrittura: il rapporto dell’adulto o del giovane con la natura - ovvero la collina - per ‘L’eremita’ e ‘Il mare’, l’irresolutezza nelle decisioni de ‘Il signor Pietro’ nonché, soprattutto, un’acuta nostalgia per un mondo passato che è ormai morto o sta morendo nel quale non è difficile riconoscere quello dell’infanzia dell’autore. Una prospettiva, quest’ultima, che fa risaltare brani brevi ma assai intensi come ‘La vigna’ e quel ‘Vecchio mesttiere’ che si può ritenere il migliore del lotto grazie anche a una chiusa esemplare. ( )
  catcarlo | Feb 3, 2016 |
"Ancora oggi mi chiedo perché quei tedeschi non mi aspettarono alla villa mandando qualcuno a cercarmi a Torino. Devo a questo se sono ancora libero, se sono quassù. Perché la salvezza sia toccata a me e non a Gallo, non a Tono, non a Cate, non so. Forse perché devo soffrire dell'altro? Perché sono il più inutile e non merito nulla, nemmeno un castigo?.... L'esperienza del pericolo rende vigliacchi ogni giorno di più. Rende sciocchi, e sono al punto che essere vivo per caso, quando tanti migliori di me sono morti, non mi soddisfa e non mi basta. A volte, dopo aver ascoltato l'inutile radio, guardando dal vetro le vigne deserte penso che vivere per caso non è vivere. E mi chiedo se sono davvero scampato." ( )
  Ginny_1807 | Aug 23, 2013 |
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Nome do autorFunçãoTipo de autorObra?Status
Cesare Paveseautor principaltodas as ediçõescalculado
Strachan, W. J.Tradutorautor secundárioalgumas ediçõesconfirmado
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