Dal suo punto di osservazione dietro al bancone di Backdoor, negozio di dischi a Torino, Blatto prende nota con acutezza dell’umanità che gli si presenta davanti e ne descrive la parte più estrema (o improbabile): arguzia e capacità di osservazione dipingono una nutrita galleria di personaggi, ognuno a suo modo indimenticabile, riuscendo nel contempo a far ridere parecchio grazie a un’abile gestione dei tempi comici. Va da sé che la maggior parte dei casi umani che sfila fra queste pagine sia costituita da appassionati di musica (inarrivabile il malato terminale di alta fedelta che usa il liquido farmaceutico per pulirsi le orecchie e sentire meglio… un oscuro album degli Asia), ma non solo. E’ molto bello, ad esempio, il capitolo dedicato alla piazza su cui si affaccia il negozio e ai riti umani e sociali che vi si svolgono, mentre non tutti i clienti descritti sono collezionisti, pur essendo ognuno a modo suo un maniaco: alcuni capitano per caso tra vinili e cd e poi restano agganciati per i motivi più assurdi. I musicofili, da parte loro, fanno pensare a quanti modi può concretizzarsi una vena di follia: tutti rigorosamente uomini (il collezionismo compulsivo è, del resto, quasi esclusivamente maschile) e molto spesso soli (da cui la funzione ‘sociale’ descritta nelle prime pagine), regalano risate molto spesso amare che prendono presto il sopravvento sulla considerazione che.. beh… c’è un mucchio di gente messa peggio di me. Perché è stato inevitabile ambientare l’azione nel negozio dove vado io e dare all’autore e al suo socio – il terribile signor Franco – l’aspetto di chi vende i dischi a me: anche loro, con ogni probabilità, potrebbero scrivere una raccolta delle richieste assurde che si sono sentiti fare, analoghe a quelle che introducono un’ulteriore nota umoristica all’inizio di ogni capitolo. ( )