Roberto Vecchioni

Primo libro del blocco di volumi che societta e strapazientissimo stallone mi hanno regalato per il mio compleanno. Roberto Vecchioni, uomo che con le parole ci sa decisamente fare, propone un piccolo romanzo in cui dà spazio alle sue grandi passioni, i libri e la cultura classica. Il romanzo è ambientato a Selinunte, un piccolo paese siciliano dove i tempi fanno da sfondo alla quotidianità. Non siamo lontani da Marsala, dalla cittadina dalla quale Vecchioni inviò quelle deliziose lettere ricordando quel signor giudice che della vita degli altri, come troppi giudici, ne fa stracci. Il protagonista potrebbe essere Frollo, il ragazzo incantato dal libraio che i libri non li vende, ma li legge. O il libraio stesso, uno strano uomo che ad un certo punto scompare come per magia. Ma i veri protagonisti di questo romanzo sono i passi dei libri che Vecchioni porta come citazioni, tutte opere fondamentali della letteratura. Vecchioni è un uomo colto, ha una formazione classica e si vede, ma in questo romanzo non riesce a liberare fino in fondo la sua fantasia, è tutto costruito in maniera perfetta, ma la letteratura, che chiaramente è il riferimento dell’autore in questo romanzo, è altra cosa. La brevità della storia alla fine aiuta la lettura, si potrebbe parlare di un esercizio di scrittura più che di un romanzo. Ma, comunque, a Vecchioni tutto è consentito perché lui ha un credito troppo grande nei confronti di chi con lui, come me, è cresciuto.… (mais)

"Io nelle mie canzoni ho sempre tentato di scrivere storie al contrario, laterali o oblique. [...] Cosí, quasi per gioco, ho voluto applicare alle favole il senso del dubbio, il gusto del contrario che uso in canzone, ipotizzando interpretazioni diverse da quelle tradizionali." Cosí Vecchioni nel Prologo.

Purtroppo però l'idea da cui è scaturito il libro costituisce anche il suo limite piú evidente. Dopo una promettente introduzione che gioca in modo stuzzicante con l'ambigua figura del "contastorie", l'autore presenta una sequenza di racconti dove i personaggi cambiano ruolo, le parti sono invertite, la fabula viene reintrecciata secondo nuove prospettive ma tutta l'operazione ha un sapore accademico, sa di attività intellettuale pianificata a tavolino. Forse il desiderio di stupire e sorprendere ad ogni costo ha sopraffatto la scintilla dell'ispirazione genuina, forse è mancato un adeguato lavoro di approfondimento sui significati della favola, o forse, piú semplicemente, l'idea che basta per una canzone non è sufficiente per un racconto.

Lo stile è anonimo, le situazioni sono risolte in modo frettoloso e sbrigativo e i personaggi, abbandonati i loro ruoli tradizionali, risultano svuotati e inconsistenti come simboli senza senso.
Per fortuna qualche eccezione c'è, come ad esempio il racconto "Giovannino e la pianta di fagioli" dove il piccolo protagonista si trova coinvolto in una lotta contro gli orchi che abitano tra le nubi del cielo. Una lotta destinata imprevedibilmente a non aver mai fine, per cui a Giovannino non resta che farsi dolorosamente carico di questa interminabile missione, con le lacrime agli occhi, piangendo "come quando era bambino e veniva punito senza motivo".

Discorso a sé stante merita invece il lungo racconto della seconda parte.
Qui l'autore si prende il tempo e lo spazio per sviluppare una trama poliziesca di stampo moderno ambientata alla corte di Cenerentola e del Principe Azzurro. Il racconto è avvincente e ben articolato e, come ogni giallo che si rispetti, presenta nel finale un paio di buoni colpi di scena che illuminano retrospettivamente tutta la vicenda di una luce crepuscolare e onirica molto suggestiva.

Nel complesso il libro si presenta come una lettura leggera e non priva di originalità, almeno negli intenti, ma soffre di una programmaticità che compromette la vividezza e la vivacità della narrazione. L'idea era buona ma ha fatto difetto l'emozione.
Un'opera di testa e non di cuore, peccato.

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