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Andrea Tarabbia

Autor(a) de Madrigale senza suono

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Obras de Andrea Tarabbia

Madrigale senza suono (2019) 21 cópias
Il demone a Beslan (2011) 6 cópias
Racconti di demoni russi (2021) 3 cópias
Il peso del legno (2018) 2 cópias
Marialuce (2011) 1 exemplar(es)
La Patria non esiste 1 exemplar(es)
Tarabbia Andrea 1 exemplar(es)
Il continente bianco (2022) 1 exemplar(es)

Etiquetado

Conhecimento Comum

Data de nascimento
1978
Nacionalidade
Italy
Local de nascimento
Saronno, Italia

Membros

Resenhas

Tarabbia si accosta a L'odore del sangue di Parise, ne smarca in un paio di pagine attori e vicenda principale (cui poi però torna in modo regolare, con precisione e rispetto) e dà volto e nome al personaggio che in Parise ne resta privo, procedendo a una discesa nel suo mondo di follia e violenza. È più che un libro sulle nuove destre, è un libro sulla violenza che si annida nel quotidiano, di fianco alle vite che riescono a ignorarla ma così presente per quelle che non possono farlo. È un libro che fa paura, spesso fisicamente, sempre mentalmente, in cui l'umano torna al bestiale - non a caso, ricorrente è la partecipazione dei cani alla violenza.

C'è anche qualcosa, marginale, che non mi è piaciuto: una storia parallela che non si incastra bene, una scena un po' alla "fight club", almeno un personaggio troppo caricaturale e tragico, la non contestualizzazione linguistica rispetto all'ambientazione romana (Gadda o Pasolini non l'avrebbero scritto così, per intenderci, ma nemmeno Pecoraro, per esempio, ed evidentemente Tarabbia ha voluto tenersi lontano dal rischio della maniera, della parodia).
… (mais)
 
Marcado
d.v. | May 16, 2023 |
Non così crudo come ho letto altrove. È vero, ci sono delle descrizioni vivide di alcuni atti che potrebbero impressionare, come per esempio quella riguardante l’utero di una delle vittime, che personalmente mi ha fatto trasalire, ma nel complesso il racconto in prima persona è talmente asettico dal punto di vista emozionale che è proprio questo a sorprendere. In tutto il romanzo, pur raccontando cose realmente accadute, non c’è traccia di splatter da film horror e altri scrittori avrebbero potuto approfittare delle gesta di Čikatilo in modo più commerciale. Tarabbia invece, pur raccontando ciò che accadde, rimane ben distante da certi cliché letterari.
Ho provato più disagio nel leggere [b:L'incantatore|12745235|L'incantatore|Vladimir Nabokov|https://images.gr-assets.com/books/1328001744s/12745235.jpg|1449831] di Nabokov, che nella sua forma letteraria “Alta” nasconde tra la bellezza delle parole il torbido.
Lo scrivo per rassicurare chi volesse provare a leggerlo e ha delle remore perché impaurito da altre recensioni.
È sempre una discesa agli inferi, non priva di particolari, quindi va affrontato con la giusta predisposizione, ma si vede di molto peggio al cinema o in alcuni documentari, quindi non abbiatene timore.

Leggere questa storia, però, fa male. Perché questo tipo di comportamenti sociopatici sono sempre al limite tra comprensione e disprezzo. Le scienza contro la morale comune. Che Čikatilo sia sociopatico non c’è dubbio, difficile però stabilire quanto quello che ha fatto sia giudicabile come infermità mentale o come atto volontario.
Troppo furbo per esser pazzo, o talmente pazzo da esser furbo. Una sorta di comma 22* che in teoria lo condanna su tutti i fronti. Perché si dichiara infermo di mente, ma si prodiga con tanta convinzione e impegno nella richiesta di una grazia, che viene spontaneo (anche agli inquirenti) pensare che abbia una mente raziocinante.
Un personaggio a dir poco inquietante anche fisicamente negli ultimi anni della sua vita, mentre appariva del tutto normale negli anni dove compiva le sue gesta efferate.
In questi casi si arriva poi alla solita discussione: quanto il tuo passato giustifica quello che compirai in futuro?

*“Comma 22. Chiunque voglia evitare le missioni di combattimento non è realmente pazzo.”
C’era un solo inghippo ed era il Comma 22, il quale specificava che preoccuparsi per la propria incolumità di fronte a pericoli reali e immediati era la reazione di una mente raziocinante. Orr era pazzo e poteva essere esonerato. Non doveva fare altro che chiederlo; ma appena l’avesse chiesto, non sarebbe stato più pazzo e avrebbe dovuto fare altre missioni. Orr sarebbe stato pazzo a fare altre missioni e savio a non farle, ma se era savio doveva farle. Se le faceva era pazzo e non doveva farle; ma se non voleva farle era savio e doveva farle.

[b:Comma 22|4590520|Comma 22|Joseph Heller|https://images.gr-assets.com/books/1290258542s/4590520.jpg|814330], di Joseph Heller
… (mais)
 
Marcado
Atticus06 | Jun 9, 2020 |
“Tarabbia sale al Calvario senza l'aiuto della fede. In "Il peso del legno" l'autore affronta con ottica profondamente laica lo scandalo della Croce.

Quando leggo un libro, mi chiedo sempre: c'è uno scrittore, qui? E, se c'è, dove sta? Nel pensiero? Nello stile? Nella capacità affabulatoria? In quella argomentativa? O in altro? Ma lo scrittore, quando c'è, ti salta addosso dalle pagine del libro, pretende che tu lo legga, che tu entri in una strana, realissima comunione con lui, se necessario ti fa violenza. È quello che mi è capitato nei giorni scorsi leggendo un libro bellissimo, forse il più bello che io abbia letto da diverso tempo, “Il peso del legno” di Andrea Tarabbia (NNE editore, pagg. 203, euro 14). Il primo motivo d'interesse sta nella collana, CroceVia, in cui il libro è collocato. Essa nasce da una bellissima idea di Alessandro Zaccuri e del suo editore: quella di affidare ad alcuni scrittori non dichiaratamente credenti alcune parole nate dalla tradizione cristiana e di cui facciamo tutti un uso quotidiano anche a prescindere dal loro significato d'origine.

«Croce» è una di queste parole, ed è il tema che Tarabbia si è preso a cuore. Che cos'è, per un intellettuale italiano quarantenne, docente universitario e residente nella colta e laica Bologna, la «croce»? Cosa rappresenta questo richiamo a una fede che non risparmia né il dolore fisico né lo scandalo cui è sottoposta la ragione, qualcosa che ricorda il credo quia absurdum di Tertulliano? È ancora possibile dire «sì» consapevolmente a una sfida così radicale e in apparenza così anacronistica?

La forma in cui si presenta questo libro - non saggio, non narrazione, non autobiografia ma tutte queste cose insieme - non trova paragoni se non in generi letterari frequentati in tempi antichi (da Seneca ad Agostino), i vari soliloquia ripresi nello scorso secolo soprattutto in Francia (per esempio Bernanos, Camus, France) sulla tradizione di Montaigne, Pascal, Bossuet. Ma la sua forza ha un'altra radice, di cui lo stesso Tarabbia non sembra del tutto consapevole. Serio e scrupoloso fino a sfiorare la pignoleria, Tarabbia interroga senza sosta i Vangeli e altre opere che li riguardano per cercare di capire quale dramma si consumò, in quei famosi giorni, a Gerusalemme, come si svolse il processo, chi erano Giuda, Pilato, Simone il Cireneo e gli altri attori di quello che è stato il più grande dramma di ogni tempo. E soprattutto per cercare di capire se ciò che quel supremo sacrificio propone sia ancora proponibile alle miserie dei nostri giorni.

L'impresa è troppo grande: la bibliografia usata è un miliardesimo di quella prodotta sul tema, né potrebbe essere diversamente, ed è inevitabile che molte delle interpretazioni presentate risultino già note. Ma Tarabbia non ha paura di questa insufficienza, ed è questo un segno importante, il segno del vero scrittore. Non nasconde i propri limiti, i propri cortocircuiti narrativi, talvolta si getta in considerazioni narratologiche che appaiono fragili forse ai suoi stessi occhi, ma tira avanti. Cammina, cade, si rialza, procede lungo un cammino pieno di dubbi ma troppo importante per essere interrotto. Il piglio è davvero commovente e degno di un vero, oserei dire grande scrittore. Come un amico, giunto per la prima volta nella città dove noi siamo nati, Tarabbia parla dei Vangeli con una freschezza che io - che ci convivo da quando ero adolescente - devo imparare da lui. Raffronta i sinottici tra loro e questi con la versione giovannea, con osservazioni la cui importanza sta in primis nel modo in cui quei fatti risuonano in lui e di conseguenza risuonano sulla pagina.

Poco importa se tutto questo lavoro abbia prodotto in lui un cambio di prospettiva sulla religione cristiana. L'impressione è che no, Tarabbia continui a pensare alla fede e alla ragione come a due sfere incompatibili e che la sofferenza patita da Cristo sulla croce sia improponibile per un uomo del nostro tempo. Rimprovera a Gesù - secondo un cliché interpretativo di radice positivista - di avere «usato» Giuda e Pilato come attori necessari alla Sua gloria per abbandonarli poi alla perdizione. Ma, una volta tanto, non è l'interesse del pensiero a dominare, bensì un'altra cosa, ben più importante: la partecipazione, l'energia, la domanda sempre disperata di risposte ma sempre riaccesa, che investe queste pagine, il cui cuore non è, poi, la vicenda personale di Gesù di Nazareth, ma quella dello stesso Tarabbia, un figlio come tutti alle prese con la salute incerta del padre, con la somiglianza fisica e caratteriale che li unisce, con la paura di quello che non sappiamo, e che perlopiù non reca notizie felici: invecchieremo, ci ammaleremo, moriremo, e lo stesso accadrà dei nostri figli.

Questa è la porta che spalanca sulla profondità del libro, che non è una ricognizione sulla vita di Gesù in cerca di risposte, bensì una conversazione, sincera fino alla brutalità, tra due figli - lo scrittore e Gesù Cristo - ambedue alle prese con un padre, e con l'enigma della sua perdita, della sua morte o del suo crudele abbandono. Tarabbia scruta per fortuna senza successo una personalità troppo complessa, ne rileva gli aspetti che appaiono contraddittori, talvolta lo rimprovera, altre volte ne rimane sconcertato, per poi scoprire - come dovrebbe accadere a tutti - che il vero sconcerto non riguarda mai Dio ma riguarda piuttosto noi stessi, e tutto ciò che emerge da noi stessi ma per così dire «fuori quadro», come a dire che ciò che siamo veramente non ha quasi nulla a che vedere con ciò che pensiamo - anche fermamente - di essere.

Il peso del legno è un alto e inquieto grido. Le stesse domande si ripetono, le stesse risposte seguono, ma le domande si riaprono, la ferita non si chiude, la grande questione della nostra esistenza sulla terra non accetta consolazioni, e Gesù Cristo, con la sua ignominiosa morte e la sua incomprensibile resurrezione, è e rimane - per credenti e non credenti allo stesso modo - il solo segno che ci è dato, il solo interlocutore storico, la sola fonte delle parole che noi non possiamo non affrontare se vogliamo trovare, per questo enigma, non diciamo una chiave, ma quantomeno un senso possibile.

(Luca Doninelli - IL GIORNALE - 30 maggio 2018)
… (mais)
 
Marcado
AntonioGallo | Oct 9, 2019 |

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