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Obras de Elena Albertini

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Resenhas

Un crimine di guerra mai risolto descrive la vicenda di sei generali internati nei campi di concentramento dopo l'armistizio, IMI, uccisi per mano nazista durante la marcia di evacuazioni dal Lager in cui erano stati imprigionati. Dalla fine del conflitto sino ai nostri giorni la figlia del generale Alberto Trionfi, Maria Trionfi, ha tenuto fede ad uno scopo: rintracciare l'assassino del padre e degli altri generali uccisi il 28 gennaio 1945 avvalendosi anche dell'abile cacciatore di nazisti Simon Wiesenthal. Il volume si realizza come un'indagine corale in cui all'inedito carteggio tra la Trionfi e Wiesenthal si intrecciano documenti di varia natura come le comunicazioni epistolari con il Zentrale Stelle - Ufficio Centrale per l'inchiesta sui crimini nazionalsocialisti - a seguito dell'istituito processo contro colui che aveva commesso il fatto, tuttavia senza alcuna comminazione di pena per un disguido tra la grafia e la fonetica del cognome. Il libro: "decisamente fuori dal comune. Né una biografia, né un saggio sugli IMI, né tantomeno un volume di denuncia contro un'ingiustizia giudiziaria, è tutte queste cose insieme e non solo.… (mais)
 
Marcado
BiblioLorenzoLodi | Mar 27, 2021 |
Il presente lavoro nasce dalla necessità di dare spessore alla rivolta del ghetto di Varsavia per il tramite delle testimonianze pervenuteci dai superstiti, pochissimi, in quanto la maggior parte della popolazione ebraica del ghetto trovò la morte nel campo di sterminio di Treblinka dopo il "grande rastrellamento" del 22 luglio 1942, l'Aktion. In seguito alle deportazioni, un gruppo di soli 220 ragazzi e ragazze decise di dare vita all'Organizzazione ebraica di combattimento, la ZOB, con l'obiettivo di avversare i tedeschi con risolutezza e volontà per mezzo di una resistenza armata fatta di scontri e di guerriglie urbane, al fine di non essere considerati solamente delle vittime inermi come i nazisti volevano. Approntare una resistenza all'interno del ghetto non fu affatto facile, sia per la mancanza di armi, sia per lo scarso sostegno della Varsavia ariana al di là del muro. Di fatto i combattenti della ZOB, come asserisce lo studioso Israel Gutman, "non avevano alcun piano né contatti con il mondo esterno, o con gli Alleati; i capi dell'organizzazione non erano che ragazzi di soli vent'anni, o poco più, che possedevano pochissime armi senza alcuna esperienza, o strategia di guerra", ma con un unico reale obiettivo: decidere di morire lottando, anziché nelle camere a gas.… (mais)
 
Marcado
BiblioLorenzoLodi | Jan 26, 2017 |
La decisione di fare una ricerca sugli IMI - gli Internati Militari Italiani, deportati nei campi di concentramento del Terzo Reich dopo l'armistizio del settembre 1943, è stata ispirata dall'inedito diario di prigionia del carabiniere Enrico Ditta, pittore romano d'adozione noto negli anni sessanta-settanta con il nome d'arte Enrico Napolitano.
Enrico Ditta venne catturato dai tedeschi, e deportato pochi giorni dopo 1'8 settembre 1943 nei campi di concentramento della Germania. Internato nello Stalag di Dortmund, importante città della Vestfalia che sorge nel centro industriale della Ruhr, fu costretto a rimanervi lavorando negli stabilimenti siderurgici dell'Huttenverein Werke-Hoerde come lavoratore coatto. Nonostante le vessazioni, le privazioni di ogni genere e le estenuanti giornate di oltre dodici ore di lavoro Enrico, l'IMI 53343, riuscì a sopravvivere e a sostenere per più di due anni l'internamento e la prigionia. Venne rimpatriato in Italia solamente nel novembre del 1945, dopo aver subito un secondo internamento come prigioniero dei francesi a guerra finita; esperienza accaduta anche a molti dei militari italiani che tentarono di rientrare in Italia dalla Germania per proprio conto.
Enrico Ditta lascia un diario di prigionia scritto al suo rientro tn Italia, come per molta della memorialistica della vicenda. L'archivio è comprensivo di cinque quaderni di medio formato, e di un dattiloscritto del resoconto redatto dallo stesso autore. Inoltre è corredato da vari documenti che attestano la permanenza nello Stalag VI di Dortmund: dal piastrino di metallo con il numero di matricola rilasciato all'ingresso nellager, dal passaporto per lavoratori stranieri, da alcuni fogli di congedo, da una croce al merito di guerra unitamente ad altra
documentazione che il Ditta decise di lasciare in una cartella di cartone. [...]
… (mais)
 
Marcado
BiblioLorenzoLodi | Dec 3, 2013 |

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